Vista la recente decisione del Consiglio di Stato (N. 02081/2021REG.PROV.COLL. N. 00023/2019 REG.RIC. ) nel ricorso presentato da BANCO BPM, vale la pena di riportare i passaggi salienti sulla ricostruzione dei FATTI  accertati in sede amministrativa e definitivamente confermati:

“5.1 – La censura è infondata, muovendo da una premessa errata, ovvero che l’attività dell’Istituto bancaria si sia limitata a quella di mero “segnalatore”.
Deve, invero, escludersi che il ruolo della Banca nella realizzazione della pratica in oggetto si sia limitato semplicemente a trasmettere alla clientela un prodotto e un materiale divulgativo interamente predisposto da altri.
(omissis)
“La compartecipazione dell’appellante all’illecito emerge, invece, inequivocabilmente dai riscontri fattuali già evidenziati dal T.A.R. solo genericamente contestati con l’atto di appello. Al riguardo, è sufficiente richiamare gli elementi più significativi del ruolo attivo svolto dalla Banca nella dinamica contrattuale complessiva in cui il consumatore era coinvolto:
a) in forza dell’accordo di collaborazione sottoscritto tra IDB e BPM, la banca era tenuta a mettere a disposizione dei clienti, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto da IDB, provvedendo anche i funzionari dell’istituto a inoltrare alla IDB le disposizioni di acquisto sottoscritte dall’acquirente, previa informativa resa, dai medesimi funzionari, in ordine all’esatto ammontare dell’operazione;
b) per l’attività svolta, la banca conseguiva una provvigione pari ad una percentuale dell’operazione conclusa (tra il 10% e il 20%); inoltre, è emerso come la stessa si prefiggesse, a mezzo dell’accordo con IDB, di conseguire un aumento delle vendite di servizi bancari aggiuntivi (quali la custodia in cassette di sicurezza);
c) l’appellante aveva previsto che alla raccolta della proposta di acquisto era deputato  un c.d. “referente investimenti” e ed aveva descritto nel dettaglio il processo da seguire nel “proporre” l’investimento in diamanti e nell’“assistere” il cliente nell’eventuale acquisto;
d) dai reclami dei clienti e dalle segnalazioni delle associazioni, è emerso che “i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela … l’acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa”;
Il ruolo svolto dagli operatori degli istituti di credito nella realizzazione della pratica emerge anche dall’ampiezza delle attività svolte dagli stessi nelle diverse fasi dell’acquisto, così come risulta dal contenuto degli esposti dei risparmiatori. Infatti, gli impiegati della Banca curavano la compilazione e l’invio a IDB del modulo d’ordine di acquisto delle pietre sottoscritto dal cliente, informavano il cliente stesso dell’esatto importo dell’investimento, organizzavano e presenziavano ad eventuali incontri tra cliente e IDB, nonché alla consegna della pietra, che avveniva nei locali della filiale laddove il cliente non avesse richiesto la custodia presso i caveaux di IDB. Anche nel caso di richieste di ricollocamento, la banca assumeva un ruolo di intermediazione, mettendo in contatto i clienti con IDB.
E’ dunque indubbio che il cliente – come confermato dal contenuto di molte segnalazioni e reclami – al momento dell’acquisto fosse persuaso del fatto che l’operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull’investimento fossero verificate, e quindi “garantite”, dalla banca.
L’affidamento derivante dalla circostanza che l’opportunità dell’acquisto dei diamanti venisse presentata al cliente come forma di investimento dalla propria banca – e dal proprio referente di fiducia – emerge anche dal fatto che i reclami, in gran parte, sono stati presentati alle banche, proprio in quanto percepite come controparti di prima istanza.
5.2 – In base all’art. 5, comma 3, del codice del consumo “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
Deve, dunque, concludersi che la nozione di “professionista” rinveniente dal Codice del consumo deve essere intesa in senso ampio, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di una attività di impresa finalizzata alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o servizio. In tal senso, integra la nozione di  professionista autore (o co-autore) della pratica commerciale “chiunque abbia una oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima”.
5.3 – Alla luce di tale considerazione perde di consistenza anche il rilievo dell’appellante secondo cui nella specie non sarebbe ravvisabile una propria condotta colposa, in quanto non sarebbe possibile affermare in capo alla stessa un onere di verificare il contenuto dell’offerta.
Al riguardo, deve anche osservarsi che ciò che rileva è che il professionista abbia con il suo contegno contribuito, in qualità di co-autore, alla realizzazione dell’illecito, non solo ove il suo contributo abbia avuto efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile alla realizzazione della violazione, ma anche allorquando il contributo abbia sostanziato una agevolazione dell’altrui condotta, traendone un diretto vantaggio economico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3763).
Non può, inoltre, trascurarsi che la responsabilità della ricorrente per i fatti oggetto del provvedimento risulta correlata anche al ritorno economico da questa conseguito a seguito dell’attività di promozione dei diamanti di investimento (sulla rilevanza del ritorno economico del professionista al fine di fondare la sua responsabilità per pratica commerciale scorretta, a prescindere dalla estraneità del prodotto offerto rispetto alla gamma tipica di servizi forniti vedasi Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1820).
La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che “l’obbligo di diligenza richiede che, in presenza di vantaggi economici derivanti dalla pratica commerciale, il soggetto che consegue comunque un vantaggio, come nel caso di specie il titolare dei punti commerciali dove sono effettuate le vendite e sottoscritti i contratti di finanziamento, si attivi concretamente e ponga in essere misure idonee per comprendere appieno le modalità ed il contenuto delle operazioni proposte ai consumatori, solo in presenza delle quali la responsabilità editoriale può essere esclusa essendosi l’operatore economico diligentemente attivato” (Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 38).
6 – Con un diverso ordine di censure, l’appellante contesta la sentenza impugnata nel punto in cui conferma la valutazione dell’Autorità quanto alla qualificazione come scorrette delle pratiche commerciali poste in essere da IDB. Anche tale censura, nelle sue plurime articolazioni, è infondata.
L’analisi svolta sui contenuti del materiale pubblicitario utilizzato dalla società  conferma la sussistenza dei presupposti dell’illecito e delle condotte come innanzi descritte (vedasi punto 1).
Appaiono, invero, ragionevoli gli assunti su cui si basa il provvedimento ed in particolare la valutazione che l’attenzione dei consumatori sia stata condizionata: a) dalla enfatizzazione della estrema convenienza all’investimento in diamanti (reclamizzati quali beni rifugio); b) dall’asserita costante crescita della loro quotazione sul mercato, tale da assicurarne la realizzazione di cospicue plusvalenze in caso di rivendita.
A tale scopo – ed in tale pratica risiede l’aspetto maggiormente censurabile – la società, a garanzia della sicurezza e della monitorabilità dell’investimento e a sostegno della trasparenza dell’operazione proclamava l’impegno di pubblicare trimestralmente sui principali giornali economici i dati relativi all’andamento dei prezzi dei diamanti.
Ad imprimere il connotato illecito della condotta censurata, risulta dirimente il fatto che l’aggiornamento delle “quotazioni” pubblicate sui citati quotidiani, ancorché rappresentata come un servizio prestato dal venditore, consisteva, in realtà, nella pubblicazione a pagamento del suo listino-prezzi. E tale circostanza non era immediatamente percepibile dal consumatore.
Da un altro punto di vista, la mancanza di qualsiasi attività di rilevazione preventiva e l’assoluta autoreferenzialità delle fonti di determinazione dei prezzi proposti ai consumatori privano di ogni attendibilità le assicurazioni fornite in merito alla “costante crescita” dei valori di mercato dei preziosi, disvelando in tutta la sua gravità distorsiva il carattere decettivo della pratica commerciale posta in atto.
6.1 – Il tenore dei rilievi dell’appellante conferma indirettamente la bontà della valutazione effettuata dal primo giudice e della conclusione di questo Collegio innanzi anticipata, ove si consideri che l’oggettiva assenza di una quotazione ufficiale del valore dei diamanti, rilevata dall’appellante, avvalora come l’enfatizzata pubblicazione trimestrale delle “quotazioni” – che in realtà rappresentavano un prezzo determinato in maniera autonoma dal professionista – lasciava intendere al potenziale acquirente di essere in presenza di rilevazioni oggettive di mercato raccolte ed elaborate dal professionista a beneficio degli acquirenti.
6.2 – Da un altro punto di vista, deve convenirsi che il materiale pubblicitario predisposto dalla società, enfatizzava la qualità dei diamanti, ne garantiva il valore intrinseco e quindi la facilità di disinvestimento, in grado di assicurare “Un rendimento sicuro nel tempo”.
Non appare, pertanto, illogica la conclusione che tali affermazioni si prestassero ad ingenerare nel consumatore l’idea del diamante come “bene rifugio” agevolmente monetizzabile in qualsiasi momento e che, pertanto, avrebbe potuto preservare il valore dei risparmi investiti.
Al riguardo, l’indagine dell’Autorità ha, invece, appurato che la rivendibilità e redditività del bene erano subordinate alla permanenza di condizioni del tutto particolari, tra cui la scelta di ricollocare i diamanti utilizzando il medesimo canale di acquisto e la circostanza di chiedere il disinvestimento in un momento nel quale vi fosse una scarsa domanda di smobilizzo, la cui necessaria ricorrenza non era in alcun modo resa nota al consumatore.
In particolare, l’istruttoria procedimentale ha permesso di appurare che la possibilità di recuperare il capitale investito dipendeva da diversi fattori quali, principalmente, il prezzo al quale si rivende il diamante sul mercato e la facilità di trovare una controparte disposta ad acquistare il diamante stesso. L’alea del ricollocamento, verosimilmente possibile solo all’interno del circuito nel quale operava lo stesso professionista (IDB e IDB Intermediazioni), non veniva in alcun modo chiaramente esplicitata al consumatore, al quale invece venivano prospettati, in particolare attraverso il sito internet, rendimenti certi e, in generale, la conservazione del valore capitale, a fronte del mantenimento dei diamanti per un periodo medio-lungo.
Al riguardo, deve ricordarsi che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, 19 settembre 2017, n. 4878) grava sul professionista un obbligo di chiarezza e completezza dei messaggi promozionali al fine di evitare qualsivoglia forma di aggancio scorretta e ingannevole, ciò in quanto l’onere di completezza e chiarezza informativa previsto dalla normativa a tutela dei consumatori richiede che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare e sanziona la loro omissione, a fronte della enfatizzazione di taluni elementi, qualora ciò renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini dell’offerta o del prodotto, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto degli stessi, in errore, condizionandolo nell’assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato.
6.3 – E’ nell’ambito della descritta condotta che si colloca anche la questione del rivendicato ruolo di leader del settore in Europa da parte della società venditrice.
Da un lato, non può essere messo in discussione come tale affermazione contribuisca all’ingannevolezza della condotta complessivamente considerata; da un altro lato, la spendita della qualifica di “azienda leader in Europa” nel settore dell’investimento in diamanti, non ha trovato riscontro nella situazione di mercato, come del resto emerge dai dati allegati dalla stessa società, i quali oltretutto sono circoscritti all’ambito nazionale e non a quello europeo.
6.4 – Quanto al rilievo che nel mercato mondiale dei diamanti non vi sono quotazioni (fixing) ufficiali, le indagini istruttorie dell’Autorità hanno comunque accertato che il valore di mercato dei diamanti venduti da IDB, oltre ad essere indecifrabile nelle sue componenti, risultava inferiore al prezzo proposto per l’acquisto. Non può, inoltre, ravvisarsi una carenza istruttoria nel fatto che quelli presi in considerazione dall’Autorità a fini comparativi sono anch’essi indici privati, giacché questi ultimi (diversamente dalle quotazioni di IDB) erano, comunque, basati su dati reali, corrispondenti alle transazioni effettivamente concluse.
(omissis)
In riferimento al prezzo dei diamanti ed in particolare quanto alla rivendicata fornitura di servizi ulteriori da parte dell’appellante incidenti sul prezzo dei diamanti, a differenza di quanto prospettato dalla società, deve evidenziarsi come di tale circostanza i consumatori non fossero edotti; invero, la società nel proprio materiale informativo non forniva alcuna indicazione circa l’incidenza delle singole voci di costo.

Si richiama altresì il contenuto del decreto di fissazione dell’udienza preliminare del 19.7.2021 dinanzi al G.I.P. del Tribunale di Milano (n. 10949/2020 Reg. GIP, notificato  il 17.6.2021) che vede tra gli imputati i vertici di Banco B.P.M. per reati che vanno dalla truffa aggravata all’ostacolo all’autorità di vigilanza.

Testo completo della Sentenza del Consiglio di Stato.